Sul tema a inizio gennaio 2016 è stato ripreso da alcune testate italiane un interessante studio della rivista Environmental Health Perspectives delle università di Harvard e Syracuse (vedi QUI e QUI), riguardante gli effetti di vari livelli di anidride carbonica sulle prestazioni umane all'interno di un ambiente chiuso.
I ricercatori hanno sottoposto al test 24 volontari, misurando le loro performance in tre differenti ambienti di lavoro, 550 ppm, 945 ppm e 1400 ppm. Quali sono stati i riusultati?
Le persone che lavoravano a 945 ppm hanno avuto punteggi in media il 15% inferiori rispetto a quelle del primo gruppo, mentre a 1440 ppm la riduzione è risultata del 50%. Ad essere colpite in modo particolarmente duro sono le abilità di usare le informazioni, di rispondere alle crisi e di elaborare strategie. Insomma questo studio registra che l'aumento di anidride carbonica riduce progressivamente la nostra concentrazione.
In Italia al momento non esiste ancora una misura specifica a riguardo. La legge si limita a stabilire che i lavoratori "dispongano di aria salubre in quantità sufficiente anche ottenuta con impianti di aerazione", e nel caso che i medesimi vengano sottoposti a "manutenzione periodica". La normativa ricorda anche che i livelli di temperatura, di umidità e di corrente, non devono creare disagi ai lavoratori, precauzioni che un datore di lavoro attento di solito prevede al fine di tutelare non solo la salute dei suoi collaboratori ma anche i suoi interessi.
Appare dunque evidente che prendersi cura dell'ambiente, e nello specifico di ricordarsi di cambiare l'aria anche in ufficio, è sempre una buona idea.
Se poi si volesse un controllo più accurato del livello dell'anidride carbonica nei propri locali, facilmente anche su internet si possono trovare misuratori di CO2 già a partire da 100 €.